Al Teatro Duse per una lezione di Upcycling con Greta Naselli

(di Matilde Maitan)

Acquistare solo quando si ha davvero necessità, poi rivalutare quello che già abbiamo” è il primo passo verso una moda sostenibile.

Non può che tenersi in un teatro, luogo simbolo di bellezza e di incontro di arti poliedriche, il laboratorio di sartoria ‘Upcycling: moda, teatro, sostenibilità’ condotto da Greta Naselli, che il teatro lo conosce bene: la recycler – come ama definirsi – oltre ad essere imprenditrice e sarta, è infatti anche costumista del Teatro Duse di Bologna. Il percorso, promosso dall’Associazione Teatro Duse in collaborazione con il laboratorio di sartoria Repunto di Catania, tratta in quattro incontri lezioni pratiche e cenni storici della trasformazione sartoriale tramite l’upcycling, ovvero il riciclo migliorativo, per contribuire ad un approccio sostenibile alla moda. Comprendere il valore della materia e dare, quindi, nuova bellezza e dignità ad uno scarto, attraverso le diverse tecniche artigianali del ricamo e delle applicazioni. Dall’infanzia, fino ai suoi progetti più recenti, Greta Naselli ci racconta di come moda, teatro, sostenibilità convivono nella sua attività e di come tutti – nuove generazioni in particolare – possano integrare in maniera consapevole scelte sostenibili nella propria quotidianità.

Sarta, artigiana, imprenditrice, costumista, stilista, recycler: preferisci definirti o tutte queste professioni convivono ed hanno lo stesso peso nel tuo lavoro quotidiano?

Preferisco sempre prima di tutto definirmi ‘recycler’ e poi, se devo dare un secondo termine, ‘sarta’, perché la sartoria è una mia passione fin da piccola, così come il riciclo. Creavo con quello che trovavo in casa, con tessuti di scarto. Volevo sperimentare, ma ero troppo piccola per poter andare a comprare dei tessuti nuovi.

Quando la sostenibilità da essere un gioco è diventata la tua strada? 

La consapevolezza del lato sostenibile è nata con il tempo: mi sono laureata in Moda a Rimini, ho frequentato l’Accademia di Modellistica, dopodiché ho avuto un’esperienza di 3 anni in un’azienda di pronto moda dove ho visto con i miei occhi il sistema industriale del settore; pian piano ho capito che non condividevo la filosofia di quel sistema e ho quindi deciso di iniziare a lavorare da freelance, come costumista e insegnante di sartoria. Quando avevo 20 anni è nato il concept Repunto, che si è trasformato in una vera e propria attività un anno e mezzo fa. 

Sostieni che l’upcycling nella moda oggi sembra innovazione, ma in teatro è storia e cultura da sempre. Ci spieghi meglio questa relazione? La passione per il teatro è dunque una conseguenza di questo aspetto?

L’avvicinarmi al teatro è stato naturale perché ho sempre visto nella costumistica teatrale la vera creazione di abbigliamento, di un abbigliamento per andare in scena, che comporta quindi un lavoro ben più intenso di quello industriale. Di upcycling si sente parlare negli ultimi anni, ma non è un’innovazione perché in teatro quando si crea un abito con un altissimo contenuto di lavorazione alla quale hanno partecipato diverse maestranze, ecco quell’abito ha un valore che va al di là della singola messa in scena. Molti teatri hanno un archivio e i costumi vengono rielaborati con quelle tecniche che oggi si chiamano upcyling, ma che appunto vengono usate da sempre: modificare un capo, aggiungendo per esempio accessori o passamaneria, magari per contestualizzarlo in una connotazione storica differente. 

“Be the solution not the pollution” è uno dei tuoi mantra. Come si fa ad essere la soluzione?

Dal punto di vista dell’abbigliamento, la soluzione è prima di tutto acquistare solo quando si ha davvero necessità, poi rivalutare quello che già abbiamo: spesso nell’armadio possediamo capi che non usiamo, magari anche di alta qualità e che con poche modifiche possono diventare nuovi abiti, reinterpretati in maniera differente. Dobbiamo diventare stilisti di noi stessi. Proprio per questo amo i corsi laboratorio: l’autoproduzione è il punto focale di questa rivoluzione.

Di sostenibilità ora se ne parla molto, ma, complice il green-washing, non è ancora del tutto integrata nelle abitudini consumistiche dei più. Credi sia questione di educazione, consapevolezza o mentalità?

Credo sia una questione di consapevolezza: è necessario creare occasioni per confrontarsi e discutere di quali siano i modi migliori per avere un approccio più sostenibile. A causa del green-washing è difficile distinguere quando un prodotto è sostenibile e quando non lo è. La soluzione migliore è acquistare dalla bottega sotto casa e incentivare le maestranze locali.

Tu sei di Catania e hai deciso di aprire lì il tuo laboratorio di sartoria indipendente Repunto. Spiegaci meglio di che cosa si tratta.

Repunto è un laboratorio di sartoria a produzione completamente zero waste, ovvero tutto quello che si può acquistare è realizzato da materiali di scarto: non solo gli abiti e le borse, ma anche le etichette, o le carte del packaging, sono riciclate, spesso recuperando i materiali da aziende che li buttano. Repunto sta diventando un vero e proprio hub di riferimento dove si parla di riciclo in tutte le sue sfaccettature.

 

Senti un forte legame con il territorio? Credi che questa realtà sia un’opportunità per i giovani della tua zona?

Assolutamente sì. Dopo poco più di un anno ho riscontrato molto affetto e partecipazione soprattutto dai giovanissimi. Repunto è già stato oggetto di 4 tesi di laurea. Sono giovani che stanno studiando la sostenibilità nei propri campi e, dopo aver scoperto Repunto, sono rimasti positivamente sorpresi di trovare una realtà di questo tipo in Sicilia. La bellezza della Sicilia è che l’artigianato è molto vivo, c’è ancora l’usanza di andare dal sarto per farsi confezionare un abito su misura.

Credi che il mondo della moda abbia da offrire un futuro ai giovani? 

Penso che ci sia molto terreno fertile per la moda del futuro perché stiamo vivendo un momento di grande cambiamento, che presuppone un cambio di paradigma del sistema moda medesimo e la necessità di trovare soluzioni alternative. Servono menti giovani e fresche che trovino queste soluzioni per il futuro, e riciclo e upcycling sono sicuramente delle risposte. La vera soluzione sarebbe smettere di produrre per non rimanere soffocati dai nostri scarti.

Quanto conta la creatività e quanto la tecnica?

Entrambe tantissimo, ma la pratica è fondamentale: se vuoi diventare un artigiano devi metterti con le tue mani a produrre. Uno dei problemi del sistema moda è che molti giovani sperano di diventare stilisti ma non hanno ricevuto una formazione adeguata dal punto di vista della modellistica e della confezione. Non si può separare la figura dello stilista da quella del sarto, c’è la necessità di tornare all’alta moda, ai grandi couturier del passato.

Ricamo, patchwork, hai una tecnica preferita?

Sono appassionata di qualsiasi tecnica e della continua ricerca; quello che sto sperimentando è recuperare tecniche antiche per andare a rivalutarle attraverso gli scarti, mirando quindi a una mescolanza tra tecniche tradizionali e modi nuovi per rigenerare materiali in maniera artigianale. Si parla di tessuti riciclati, ma quasi sempre ciò avviene industrialmente, processo che comporta un grande dispendio energetico e idrico. Solo riciclare artigianalmente è invece a impatto zero. 

Inizia oggi il primo dei quattro incontri del laboratorio di sartoria ‘Upcycling: moda, teatro, sostenibilità’ presso il Teatro Duse di Bologna. Lavorerete su un capo in particolare?

Ho deciso di lasciare molta libertà ai partecipanti, che possono portare il capo che preferiscono. Sono molto curiosa di vedere con che cosa arriveranno. Le lezioni sono a tema: partiremo da come destrutturare un capo, per poi ristrutturarlo, fino a esplorare le varie tecniche del ricamo. Ripeto, lascio molta libertà, ma fornisco tutti gli strumenti necessari a capire come approcciarsi in maniera autonoma ad un capo di abbigliamento.

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