Papiers Plies” di Jean Luis Espilit”

When: 4 Aprile 2013 - 11 Aprile 2013

Roma – L’occhio vuole la forma, la mente il concetto. Quando per la forma colta dall’occhio il concetto giunge alla mente, quando tutti gli elementi della percezione trovano il loro giusto luogo e in un momento materia e spirito vibrano all’unisono, allora il mistero dell’esperienza estetica prende corpo in modo completo, unitario e totalizzante, e ciò che sempre fugge è per un attimo toccato. Solo l’opera d’arte può compiere questo miracolo. Gli aniconici lavori di Jean Louis Espilit giungono a tale risultato attraverso un percorso autonomo caratterizzato da grande rigore e sobrietà, uniti a una sensibile delicatezza formale (testo di Giovanni Intra Sidola).

L’occhio vuole la forma, la mente il concetto. Quando per la forma colta dall’occhio il concetto giunge alla mente, quando tutti gli elementi della percezione trovano il loro giusto luogo e in un momento materia e spirito vibrano all’unisono, allora il mistero dell’esperienza estetica prende corpo in modo completo, unitario e totalizzante, e ciò che sempre fugge è per un attimo toccato. Solo l’opera d’arte può compiere questo miracolo. Gli aniconici lavori di Jean Louis Espilit giungono a tale risultato attraverso un percorso autonomo caratterizzato da grande rigore e sobrietà, uniti a una sensibile delicatezza formale.

 

Colpisce, innanzitutto, il fatto che questo pittore per esprimersi si affidi alla carta, superandone la mera funzione di supporto,trasformandola in opera d’arte in sé. Le finissime carte orientali che usa, infatti, vengono piegate, sovrapposte, tagliate, strappate, montate su tela, colorate e segnate, dando vita a geometrie, rilievi e forme che, insieme alle sue cromie e al segno, costituiscono ilsuo ricco patrimonio semantico. Ora, nel caleidoscopico panorama dell’Arte Contemporanea si riscontra senz’altro una nuovasensibilità nei confronti della materia e dei nuovi risultati estetici che le materie tradizionali possono dare; ma nel lavoro di Espilitsi rileva anche, e soprattutto, un rinnovato interesse per il saper fare, nuova linfa che scorre nelle vene dell’ars in senso latino, per cui l’artista si riscopre prima di tutto come colui che sa fare, le cui mani sanno lavorare la materia per sublimarla in opera d’arte. L’artista torna ad essere colui che lavora con cura sensibile e unica, colui nelle cui mani la materia viene trascesa in bellezza: si raggiunge così una matericità sublime grazie alla quale la carta cessa di essere solo supporto e diventa essa stessa opera d’arte.

 

Notevole la sua logica cromatica, che permette la connessione fra il concetto e l’emozione. La gamma di colori di natura vegetale e minerale, colori della terra e colori di terra, portano l’osservatore a sentire ciò che sente l’artista, a percepirsi come parte di questo mondo materico e allo stesso tempo di quello spirituale. Un mondo fatto di bianchi, di ocra, di mallo di noce, di bruni, di neri come di eccezionali rossi e blu. Sui quali si sovrappongono segni a matita o a carboncino, guazzi e inchiostri, a suggellare con la mano del pittore la realizzazione dell’ispirazione.

Questo segno è in dialogo costante con la forma della carta e con essa contribuisce a definire la rigorosa geometria strutturale delle sue opere. Per contemplare e comprendere le quali è necessario dotarsi di una “visione tattile” capace, cioè, di percepire come epidermicamente la qualità della materia utilizzata dall’artista. Solo allora si comprende il senso delle irregolarità, delle ruvidezze, dei rilievi; il senso delle piegature (in un’opera sono perfette geometrie, in un’altra danno quasi l’effetto nello spazio di un panneggio dipinto), degli strappi che squarciano, dei tagli che solcano, delle sovrapposizioni che geometrizzano e ordinano. Un mondo di geometrie che, a volte, partono da un centro rigoroso, ma che si stemperano poi fino al bordo dal perimetro frastagliato e imperfetto; altre volte giocano su di un’impostazione simmetrica, che però volutamente si nega nella realizzazione (con una delicatezza e una precisione d’intuito nel variare pur di poco angoli e misure davvero rara); e ancora, geometrie che sembrano consunte dal trascorrere del tempo e dall’azione di misteriosi agenti corrosivi (cattivi pensieri, sentimenti negativi, struggente malinconia…).

 

Sì, perché il trascorrere del tempo è uno degli elementi fondanti del complesso mondo di Jean Louis Espilit: le sue opere, infatti, ci parlano di una lunga meditazione previa alla realizzazione dell’opera, di una misurata gestualità della sua fattura e richiedono una silenziosa contemplazione, che porta l’osservatore al di fuori del tempo stesso. Allora si può penetrare il velo dell’intimità dell’artista per giungere a comprendere il senso della sua arte.

 

Un’arte concreta e raffinata, discreta ed eloquente, semplice e meditata, ad un tempo fatta di gesti quotidiani e profonda. Un’arte bella, equilibrata, prepotentemente delicata, armonica, sapientemente realizzata, per certi versi rituale, preziosa nell’elaborazione della materia e nell’attenta scelta dei cromatismi. Essenziale, non minimalista. Mai dipinta in senso classico, eppure fortemente pittorica. (Giovanni Intra Sidola)

Papiers Plies di Jean Louis Espilit

a cura di Giovanni Intra Sidola

Dal 5 all’11 aprile 2013 (su appuntamento)

Studio Fenice, via Baccina 58, Roma

 

MARIA LETIZIA CASSATA

CORINNE BOISSEL DOMBREVAL

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