La gente della notte fa lavori strani. DiscoRuin e la lucida visione di un mondo che non c’è più

(di Giulia Rossi)

Nel nome un destino, quello del mondo della notte, spesso associato alla rovina. In questo caso le rovine, quelle di ‘DiscoRuin. 40 anni di Club Culture Italiana’, sono di locali dimenticati, per anni mete di pellegrini alternativi in cerca di una sacralità diversa da quella normalmente professata. Una produzione Sonne Film e K+, in collaborazione con SkyArte, diretto da Lisa Bosi e Francesca Zerbetto, il docufilm è stato presentato in pre-apertura al Festival del Cinema di Roma e già in questi primi giorni sta riscontrando un ottimo riscontro di critica, a riconoscere l’imponente lavoro di documentazione e creativo svolto dalle due registe. Il film ha ricevuto il sostegno di Emilia Romagna Film Commission, Veneto Film Commission e Film Commission Torino Piemonte e il contributo di Msgm.

Non un film nostalgico, ma un viaggio omaggio di libertà e creatività che si spinge ai limiti della stravaganza e dell’allucinazione. La musica come energia collettiva capace di catalizzare le anime e i corpi trascinati da un’onda positiva irresistibile, responsabile di stati alterati di coscienza. Un’esperienza che il popolo della notte, chi frequenta e ha frequentato discoteche vuole ripetere, si nutre di questa energia e grazie a questa energia arriva persino ad amare gli altri. Si parte dagli anni Sessanta con la scoperta del ballo collettivo, che segna l’addio al ballo della mattonella e il convertirsi allo shake. Ci troviamo al Piper di Roma, aperto nel 1965, ragazze tutte in minigonna, ragazzi con capelli lunghi a definire la nuove generazione beat contro i matusa, i vecchi, i genitori perbene e perbenisti. Da Roma a Torino, ancora Piper arriviamo al 1966 e lo spazio si fa performance con il Living Theatre, Carmelo Bene, l’arte povera, l’Open Theatre. La risposta a una domanda, di trasformazione, flessibilità, del mondo come processo.

A Milano abbiamo il Bang Bang, 1969, lo stesso anno dello Space Electronic a Firenze, la scatola magica, psichedelica di fricchettoni e hippies. C’è uno dei protagonisti delle notti, Hei Mr DJ, l’evoluzione del disc-jockey, che da semplice juke box umano diventa altro. La disco music dall’America trova la consacrazione nella Febbre del sabato sera e da New York l’ispirazione per La Baia degli Angeli, a Gabicce Mare nel 1975 oltre 3mila metri di locali su due piani. Siamo alla Milano Riccione andata e ritorno sinergie tra radio libere e discoteche, folle che si spostano su e giù per la penisola. E poi il Cosmic nel 1979 a Lazise.

Anni ’80. Eccoci qui, arrivati al momento dei club che impongono codici estetici e vestimentari. Non entra chiunque, entra solo chi rispetta le regole non regole di chi sta all’ingresso del locale. Chi entra deve essere pronto a tutto, al Plastic di Milano (1980) e al Kinki di Bologna. Stile e presenza di carattere per entrare nel nero del locale milanese, dove passava il mondo della creatività Elio Fiorucci, Andy Warhol, Keith Haring o scendere le scale del club bolognese. Ethos Mama Club, 1987. Un vero e proprio club capace di creare un movimento (senza Internet, senza social network ci pensate?!), frequentato abitualmente dal mondo della moda e delle tendenze, Jean Paul Gaultier tra gli assidui. Sono gli anni della musica house, nata a Chicago, traslata dall’Amnesia di Ibiza, un nuovo modo di vivere la notte. L’esperienza del Macrillo ad Asiago, due stagioni 1987 e ’88, il Movida a Jesolo nel 1989. E sempre nel 1989 il Cocoricò, la piramide di vetro dove si vede sorgere il sole.

Gli anni ’90 del nomadismo da una discoteca all’altra, sulle autostrade a velocità sfrenata per poi crollare rapidamente e spegnersi. L’energia chimica di droghe varie, ecstasy in testa e la libertà sessuale negli anni dell’Aids interrompono bruscamente il viaggio di molti. Gli altri si sentono un po’ sopravvissuti, tra le rughe e le lacrime. Tra un’intervista e l’altra dei protagonisti della notte, le immagini d’archivio, la voce di Ondina Quadri che recita Pier Vittorio Tondelli. C’è tanta musica in DiscoRuin, quella originale di Emanuele Matte, ma anche molte parole dei protagonisti di quegli anni, colti durante le folli serate o anche oggi, un po’ invecchiati, con in viso i segni del tempo, ma spesso negli occhi un certo guizzo, di chi è abituato a vedere nel buio.

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