L’abbraccio a Kiev, allora come oggi, nel libro di Mariangela Rossi

(di Giulia Rossi)

In una stanza gelida. Goffi e impacciati. La bambina si nasconde dietro un cappellino, rivelando solo successivamente un grande sorriso, dietro una corazza di ferro. Sembra quasi di sentirli quei brividi di freddo, e poi lo sciogliersi, metaforico e non, del ghiaccio, nel primo incontro di Mariangela e Michele con la figlia Anastasia. Un incontro avvenuto il 28 dicembre 2011 a Kreminna, in Ucraina, dove la coppia ha vissuto circa tre mesi per completare la pratica di adozione della bambina, di allora nove anni. Mariangela Rossi, giornalista di viaggi, ha nel racconto la sua forma d’espressione, la pratica di tanti anni la rende abile con le parole nell’inquadrare momenti e luoghi visitati e vissuti durante quel viaggio in particolare che ha cambiato la sua vita e quella del marito. Una storia che aveva, nonostante la richiesta del magazine per cui lavorava al tempo, Elle, deciso di non raccontare, nel rispetto del riserbo per la figlia, che da quel momento vive a Milano con i genitori.

Un giorno dello scorso febbraio, mentre Mariangela è alla guida della sua auto sulle strade innevate della Val Badia, qualcosa cambia e Anastasia decide di aprirsi e raccontare alla madre tanta vita rimasta fino a quel momento protetta. E le permette di raccontare quella storia, apprezzando il silenzio osservato negli anni precedenti, esprimendo in maniera esplicita il suo consenso, la volontà di partecipare a questa condivisione.

Mariangela Rossi ha scritto ‘L’abbraccio di Kiev. Lettera a una bambina rinata‘, pubblicato da Solferino a inizio aprile, in una settimana, i lettori lo potranno divorare in due ore, intense ed emozionanti. Se ne avranno occasione, partecipare a una delle molte letture e presentazioni, coinvolgenti e avvolgenti, come quella avvenuta nel giardino segreto di Excess Venice, a Venezia, dove l’autrice, presentata dalla collega Sara Magro, ha dialogato con Chiara Modica Donà Dalle Rose, Melba Ruffo Vicens Bello e con Elena Fazzini, fondatrice di Hope Onlus, l’associazione a cui sono devoluti parte dei ricavati dei diritti d’autore del volume. Definire l’incontro, ospitato da Elisabetta Dotto, promotrice di arte e cultura nel suo albergo veneziano come in quello di Cortina d’Ampezzo, solo la presentazione di un libro non restituisce le vibranti emozioni della conversazione collettiva a più voci, una riflessione sincera e appassionata.

L’autrice è stata premiata al Salone del libro di Torino con il , un premio dedicato ai racconti di viaggio, nella sezione dedicata al tatto, per come ha saputo, grazie alle parole, farci abbracciare, toccare, stringere le mani. Durante la lettura capita infatti in vari momenti non solo di immaginare, ma di compiere gesti con le mani, come se si sentisse la necessità di andare oltre il pensiero e la parola, di concretizzare un contatto che per molto tempo ci è mancato. Il tatto, la gestualità, ci dicono molto delle persone e del loro modo di sentire ed emozionarsi.

Da italiani calorosi e abituati ad esternare la propri sentimenti con i gesti Mariangela e Michele, in quel viaggio in Ucraina di dieci anni fa, sono rimasti spesso colpiti dalla diversa maniera del popolo ucraino, anche dei bambini, di mostrare il proprio sentire. Anastasia che lascia l’orfanotrofio, dove aveva vissuto a lungo, salutando i compagni con una pacca sulla spalla. E via, verso una nuova vita.

Per arrivare a questo momento topico il viaggio di Mariangela e Michele è partito da Kiev, la capitale, dove trascorrono le prime settimane in Ucraina in attesa della telefonata decisiva. Un periodo di attesa che la coppia decide di riempire in maniera gioiosa e complice, visitando una città vibrante, piena d’arte e di cultura, di giovani dinamici e intraprendenti. Da Kiev a Kreminna, nella regione di Luhans’k, seconda tappa del viaggio, insieme all’interprete che sarebbe diventata angelo custode e motore di questa storia, Elèna, su un treno che sembra venire dal passato e deragliare ad ogni curva. Da Kreminna a Severodonetsk, dove riescono a trovare un albergo, da cui ogni giorno, percorrendo quarantacinque minuti di strada, raggiungono l’orfanotrofio. Hanno con loro un regalo per Anastasia, una bambola che verrà ribattezzata la kukla Nadia, cioccolatini e caramelle per i bimbi dell’istituto.

Un libro che è a metà tra un diario e un dono di sé che l’autrice e la figlia Anastasia hanno deciso di restituire ai loro lettori, a chi sta intraprendendo un percorso simile o chi ci sta pensando, a chi legge di guerra in Ucraina, si interroga, dispera, indigna. L’abbraccio continua.

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