L’occasione per ritrovare il nostro radicamento

Milano, 31 marzo (di Cristina Clemente) – In questo momento storico di quarantena e isolamento forzato, tantissime persone si trovano ad interfacciarsi con alcuni dei grandi nemici contemporanei: il vuoto, il silenzio, la noia, l’attesa. Siamo nati e cresciuti nella società dei consumi, una società inimmaginabile e impossibile per qualsiasi altra precedente, basata sulla continua spinta a soddisfare ogni necessità/desiderio/bisogni in modo da non poter fare altro che dar vita ad un circolo vizioso che ha travolto l’esistenza più o meno di molti contemporanei, efficacissima per poter scappare dal nostro sentire.

Raramente, se non in contesti specifici, come lo spazio della psicoterapia e/o luoghi di culto e/o di meditazione, ritagliati dal vortice della nostra continua ricerca di gratificazione, ci permettiamo di dare quello spazio umano esistenziale per un ‘ascolto verso il proprio sé. Il silenzio, la noia, l’attesa sono divenute delle nemiche terrorizzanti da evitare, ma, paradossalmente, siamo diventati schiavi del mal vivere, di quella permanente sensazione di non-soddisfazione nel non essere mai appagati, dato che una nostra gratificazione ne implicherebbe successivamente una nuova da conquistare. Questo stato di isolamento, può essere viatico di un grande cambiamento, che sicuramente può spaventare, essere a tratti doloroso e tortuoso poiché incondizionatamente obbligherebbe molti a sviluppare uno sguardo più profondo verso se stessi, uno sguardo che molti hanno dimenticato, impegnati e/o sempre all’erta a decodificare gli infiniti input esterni.

Abbiamo la possibilità di trovare quella vera libertà, che altro non è che connetterci con la nostra coscienza,  con le nostre più antiche emozioni, con quel sacro luogo che è il nostro cuore, sede della nostra energia vitale omesso dalla paura di sentire.

Ma da cosa stiamo scappando? Quale dolore temiamo nel sentirci?

Ognuno di noi è stato un bambino affamato di amore, di sguardi, di riconoscimento, ma inevitabilmente, per la condizione umana che ci contraddistingue e contraddistingue chi ci ha preso cura di noi, ha depositato nel proprio inconscio delle immagini cariche di emozioni, a volte sofferenti, a volte malinconiche, a volte traumatiche, che nel divenire ha omesso dalla propria coscienza penalizzando così una autentica connessione con sé e l’altro.

Ed ecco l’attesa, la noia, il silenzio possono ora essere care alleate, che ci permettono di risentirci anche attraverso quel dolore dal quale si è scappati da sempre, ma, nello stesso tempo, di svincolarci dalla schiavitù dalla paura di ritrovarci. Manipolati dalla quella illusoria libertà che abbiamo creduto di aver conquistato ora abbiamo la possibilità di permetterci di radicarci, di connetterci con noi stessi e con il mondo che ci circonda, riconquistando l’amore sociale, il senso di appartenenza insieme all’incertezza del futuro, perché l’unica certezza che abbiamo è il nostro radicamento. 

Questo sito utilizza i cookie per assicurarti una migliore navigabilità. Leggi le condizioni sul trattamento dei dati personali.

Accetto